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Presentazione "I crocifissi lignei riminesi" al Meeting di Rimini

Presentazione "I Crocifissi lignei riminesi" al Meeting di Rimini
Martedì 21 agosto 2012 15.00
- Sala Mimosa B6


Scheda completa

Partecipano:
Stefano De Carolis
, Medico e Storico della Medicina;
Learco Guerra
, Imprenditore;
Rosanna Menghi
, Insegnante di Lettere.

http://www.meetingrimini.org/default.asp?id=673&item=5581

Meeting Rimini

Meeting Rimini

MODERATORE
Buonasera a tutti e grazie innanzitutto di essere con noi a questo incontro dedicato ai crocifissi lignei riminesi. Il libro è uscito poche settimane fa edito da Guaraldi ed il primo grande ringraziamento va proprio al nostro editore: purtroppo non è presente perché ha subito un piccolo intervento chirurgico, sta bene, ha detto di salutare anche chi non lo conosce. Mario Guaraldi è un amico, un amico senza del quale il nostro lavoro non avrebbe mai avuto alcuna visibilità. Quindi gli facciamo tanti auguri tutti insieme. E poiché di un libro eminentemente fotografico si tratta, ringraziamo con calore chi ha realizzato le foto, mediante le quali possiamo contemplare da vicino il volto, le mani, le ferite di Gesù. Grazie quindi a Gilberto Urbinati, che è qui presente in sala in seconda fila. Grazie mille volte! E grazie alla originale sensibilità del suo scatto. Alla mia destra ho Stefano De Carolis, riminese, dirigente medico presso l’Unità Operativa Anziani e Disabili Fisici e Sensoriali dell’Azienda USL di Rimini, Responsabile Aziendale del Progetto Demenze per il territorio della Provincia di Rimini e referente per la valorizzazione del patrimonio storico, artistico e culturale della stessa Azienda. Da sempre appassionato di storia e arte, è consigliere della Società Italiana di Storia della Medicina e Professore a contratto di Storia della Medicina al Corso di Laurea in Ostetricia dell’Università degli Studi di Bologna nella sede di Rimini.

S. DE CAROLIS
Troppa roba!

MODERATORE
Noi siamo più brevi. Alla mia sinistra ho Learco Guerra, titolare di un’azienda che si occupa di grafica e stampa pubblicitaria; per hobby si interessa di storia, tradizioni e cultura riminese. Vive e lavora a Rimini. Io sono Rosanna Menghi, insegno Lettere presso la scuola media “Agostino di Duccio” di Miramare. Mi interessano l’agiografia – naturalmente elle-apostrofo-agiografia! – in generale, e la storia della Chiesa di Rimini e del suo patrimonio culturale in particolare. Grazie! Par condicio! Noi abbiamo pensato di impostare l’incontro in questo modo: io vi presenterò in una toccata e fuga le tappe salienti del cammino che la Croce come segno e simbolo ha percorso nei primi secoli, basandomi su testimonianze soprattutto di ambito locale. Seguirà Learco Guerra, che vi presenterà altrettanto brevemente chi siamo, da dove veniamo e come siamo arrivati ai crocifissi. Infine, Stefano De Carolis presenterà i crocifissi lignei riminesi. Possiamo mettere il Powerpoint. Nel Venerdì Santo del 2005 Papa Giovanni Paolo II, che morirà appena sette giorni dopo, non può presenziare alla Via Crucis in Colosseo: la segue dalla sua cappella privata meditando le riflessioni scritte dall’allora cardinal Ratzinger. Le televisioni di tutto il mondo lanciano il Papa inquadrato di spalle, così come anche voi lo vedete, mentre con entrambe le mani stringe forte una croce: è ai suoi piedi, è aggrappato ad essa con il viso di fronte a Cristo, vicinissimo. Questa immagine è stata per noi molto importante, perché ha rappresentato il punto di partenza, o meglio il criterio, la chiave di lettura mediante la quale anche noi ci siamo avvicinati a quella Croce. Ma Essa oggi in tutto il mondo è per eccellenza il simbolo della fede cristiana ed è però interessante scoprire che non è stato così da subito dopo i fatti narrati nel Vangelo: c’è un cammino, una storia, un compimento, una consapevolezza che si fa strada nel tempo e si manifesta via via. Rappresentazioni quali i pani, il pesce, che sono elementi di uso quotidiano, o ancora la vela e l’ancora, un’ancora che bene si presta, seppur timidamente, alla somiglianza con la Croce, e lo vediamo per esempio in questo graffito abbastanza noto delle catacombe di Santa Domitilla, hanno preceduto nettamente l’iconografia chiara e inequivocabile della Croce. I motivi di questo – chiamiamolo così – ritardo espressivo sono molteplici: fra gli altri, innanzitutto, l’influenza di parte della cultura antica, soprattutto ebraica, che proibiva la raffigurazione della divinità, ma anche perché, come ci insegna San Paolo, la Croce è «scandalo per i Giudei, stoltezza per i pagani». Da non dimenticare, inoltre, il timore dei primi cristiani, la paura di essere scoperti nel terribile tempo del sospetto e delle persecuzioni, perché la Croce era un marchio di condanna. Così per diversi anni, per diversi secoli, non si osa rappresentarla in modo diretto: la si camuffa, la si nasconde dentro il contesto di altre iconografie, si coniano sistemi criptici. Come nel caso del Monogramma di Cristo: un segno sintetico rintracciabile già dal secondo secolo, formato da più tracciati che però manifestano un significato unico e preciso. Qui vedete un esempio locale, ritrovato nel 2009 nella necropoli di fianco agli scavi della scuola “20 Settembre”: è una croce a bracci uguali che assume la forma di una vela, custodendo e incorporando la lettera greca
rho, scritta come la nostra p, che rimanda al nome greco di Cristo. Importanti appaiono l’alpha e l’omega, altre due lettere greche, la prima e l’ultima dell’alfabeto, spesso presenti nella simbologia cristiana, perché stanno a indicare Cristo come inizio e fine di tutto, come centro del cosmo e della storia. Lo stesso codice di riconoscimento cristiano che ritroviamo in questa stele marmorea ritrovata nella stessa area cimiteriale, inserita in un’epigrafe non chiarissima ma riferita molto probabilmente a una bambina di quattro anni. Ecco ancora il Monogramma, espresso con linee leggermente diverse in un graffito del terzo secolo: si tratta di un frammento di anfora rinvenuto nel 1974 nella fornace di via della Resistenza a Santarcangelo e conservato nel Museo Storico Archeologico sempre a Santarcangelo. Testimonianze importanti queste, che ci guidano alla scoperta del primo mondo cristiano nel nostro territorio. Successivamente si diffonde un altro monogramma: il Chrismón. È un po’ più elaborato: si tratta questa volta di due lettere sovrapposte: la x e ancora la p, in greco chi e rho, ovvero le iniziali della parola Christós. La diffusione del Chrismón è vasta, e lo diventa ancora più dopo l’editto di Milano del 313, quando l’imperatore Costantino autorizza per la prima volta il culto pubblico del cristianesimo, lasciando quindi che esso appaia nelle chiese, nelle basiliche, nelle monete. C’è un episodio precedente di pochi mesi l’editto, quando Costantino lo fa apporre addirittura sulle insegne militari, nella battaglia di Saxa Rubra: ricordiamo tutti «Con questo segno vincerai». Esso appare a volte arricchito, per esempio è molto spesso contenuto in un cerchio, simbolo del cielo, dell’infinito, della perfezione, altre volte addirittura semplificato fino a delinearsi come solo un nudo palo piantato nel terreno. Inoltre si esplica come tau, altra lettera greca, ma anche ultima lettera dell’alfabeto ebraico, la nostra t, dove i due bracci si incontrano in alto senza mai incrociarsi. Il nostro territorio vanta una ricchissima storia di fede e di martirio, quindi offre importantissime testimonianze di questa pre-croce, che per diverso tempo convive nelle case con simboli pagani e quasi per osmosi si innesta in essi dando loro nuovi significati, raccontando quel qualcosa di nuovo che si stava facendo strada nella vita. Il Museo della Città di Rimini custodisce numerosi e preziosi reperti di questo genere: si tratta a volte di oggetti di uso comune, come questa semplice lucerna, che è solo un esempio delle tante ritrovate. Altre volte siamo davanti a qualcosa di meno comune, come questa scatolina, questa capsella, che è più tarda – infatti la Croce è già esplicita –: è datata quinto secolo; è stata ritrovata nel 1864 all’interno di una colonna d’altare nella chiesa dedicata ai Santi Andrea, Donato e Giustina, una delle tante che non esistono più a Rimini. Pareva di piombo, ma una volta restaurata è apparso chiaro il bell’argento di cui è fatta. Le croci che vi troviamo raffigurate su tutti i lati – noi ne vediamo soltanto uno, due – sono di diverse fatture, sia greche che latine, e appaiono ancora l’alpha e l’omega, di cui abbiamo già detto. La scatola conteneva reliquie, ormai sbriciolate, e tre granelli di incenso. Ancora al Museo della Città di Rimini è conservato il pluteo con kàntharos: il pluteo è sostanzialmente una lastra di marmo – proveniva dalla stessa chiesa di cui abbiamo detto prima – con un vaso su cui è posta una croce, una croce greca da cui germoglia un fiore di melograno, una pianta ricchissima di significati, che qui potrebbe proprio indicare il martirio, la testimonianza. Sempre dal vaso, ovvero dall’alveo della croce, spuntano due tralci di vite con foglie e frutti fra cui le colombe trovano riposo e rifugio. Ed ancora il frammento dei una piccola croce longobarda in oro: le dimensioni e la leggerezza fanno pensare a una di quelle croci che questa popolazione barbarica frequentemente cuciva proprio sui vestiti dei defunti; si pensa risalga alla fine del sesto secolo ed è stata ritrovata nella zona situata oggi dove c’è il Palazzetto dello Sport, un luogo importantissimo per la Chiesa di Rimini, perché lì nel 359 è stato gettato il corpo del vescovo e martire Gaudenzo, il nostro patrono, e proprio lì venne costruito il più importante edificio della città, cioè il Santuario a lui dedicato (anch’esso non esiste più). Quelli che vi abbiamo mostrato sono solo alcuni segni precursori dei crocifissi che ritroverete nel libro, la traccia di una fede, di una tradizione, che via via si è confermata e consolidata arrivando fino a noi. Manca un’ultima annotazione di carattere generale: fin qui la croce ma non il crocifisso. Le primissime testimonianze di crocifisso, quindi di Croce con il Cristo, le troviamo per esempio a Roma, nel bellissimo portale ligneo della Basilica di Santa Sabina all’Aventino, e le troviamo a Londra, conservate al British Museum: le due opere sono sostanzialmente contemporanee, e parliamo del quinto secolo. A Roma, nella Basilica Minore di Santa Sabina all’Aventino, vediamo un tassello intagliato: una scena di crocifissione con il Crocifisso e una croce che è un po’ sfasata rispetto al corpo. Invece l’avorio della Passione, che vedete in secondo piano, è datato 420/430, e forse qualcuno dei più affezionati al Meeting lo ricorderà perché è stato esposto nella mostra “Dalla terra alle genti” nel marzo 1996, fino al gennaio 1997. esso fa parte di un ciclo di quattro avori che componevano probabilmente una scatoletta, ed è condivisa l’opinione che si tratti del più antico insieme di scene della Passione che sia mai stato ritrovato. Nel pezzo che ci interessa si vede chiaramente la Croce, con addirittura la scritta, ed è presente Gesù crocifisso, lavorato in modo da mettere in risalto più l’aspetto divino che quello umano: è dritto, muscoloso, è lui che domina la croce ed è lui che domina la scena. Da questo momento in poi tutto è esplicitato, si tratta solamente di scegliere la via, il modo, lo stile e la peculiare sensibilità dei secoli, delle culture e delle civiltà che hanno regalato al mondo esempi eccelsi: dalle gloriose, seppur fra loro differenti, raffigurazioni del Christus triumphans, come nel notissimo crocifisso di San Damiano, dove ogni singolo particolare fa riferimento alla parola biblica e manifesta un significato assolutamente trascendente. In questo genere di raffigurazioni la Croce indica lo spazio universale e nello stesso tempo, però, la Terra nelle sue quattro cardinalità, è un’ascesi verso l’infinito ma è anche la discesa dell’Infinito verso l’uomo: Cristo è vivo, glorioso e vincitore sulla morte, guarda dritto davanti a sé con il costato sì ferito, da cui sgorgano sangue ed acqua, ma sono elementi che però richiamano all’incontro nuziale, al parto, alla nascita, alla nuova vita, e non alla morte. Nulla è a caso in questo stile di crocifissi, che precedono cronologicamente quelli lignei. Dal tardo Medioevo si assiste alla graduale scomparsa di questo fertile universo simbolico a favore della narrazione realistica, cruda e drammatica della Crocifissione, con il corpo di Gesù: lo vediamo intagliato nel legno, o comunque tridimensionale, abbandonato, morto, caratterizzato da segni, non più veramente simboli, quali il sangue, le spine e le ferite. È il Christus patiens, caro alla sensibilità francescana, che ha la testa china sul mondo a manifestare quel dolore che ogni uomo riconosce ineludibile e stridente intorno e dentro sé. I crocifissi lignei che presentiamo in questo volume non hanno un valore artistico di rilievo, altissimo, ma sono la traccia certa della fede della nostra città, partita – come abbiamo visto – da quei primi segni impressi nella terracotta o sulla pietra, una città che le ha contemplati in diversi luoghi e tempi. In molti casi è difficile addirittura ricostruirne la storia, rintracciarne l’autore e le circostanze che li hanno fatti arrivare a noi. Del resto, le tante persone che vi si sono inginocchiate davanti non hanno chiesto la loro carta d’identità: hanno semplicemente riconosciuto nel divino sacrificio di Gesù una speranza certa per la propria vita, perché non si chiede aiuto a un morto. E senza la certezza della Risurrezione la Croce non ha senso, e non ha senso la storia che abbiamo raccontato. Ecco perché abbiamo voluto mettere come sottotitolo del nostro testo “Redenti dalla Sua carne e dal Suo sangue”. Così la frequentazione assidua e continua del popolo davanti a queste opere testimonia proprio il vincente e inaspettato orizzonte dentro il quale neppure il sommo male ha l’ultima parola. Il ritorno all’icona del vecchio Papa è inevitabile: colui che contempla e venera è immedesimato nel grande mistero che ha davanti. Vediamo ora come siamo arrivati ad occuparci dei crocifissi, da dove siamo partiti, qual è il nostro stile, qual è la nostra storia: e ce lo racconta proprio Learco Guerra, a cui lascio subito la parola.

LEARCO GUERRA
E io ti ringrazio. Questo nostro lavoro sui crocifissi lignei non nasce come un sigolo episodio di studio o di approfondimento, ma è solo l’ultimo
step – l’ultimo, spero, solo in senso cronologico – di un lavoro iniziato ormai qualche anno fa e che ci ha portati a vagare nella storia riminese, dalla più remota a quella più vicina a noi. Come spesso accade per le cose più interessanti, questa nostra collaborazione è cominciata veramente per caso: è cominciata con una festa parrocchiale della Parrocchia di cui tutti e tre facciamo parte. Si pensava in quell’anno di affiancare agli stand gastronomici, alla piadina e all’orchestrina romagnola qualcosa che desse una caratterizzazione più forte alla festa, che comunque è la festa di una chiesa, di una comunità, e si è pensato, allora, di partire da studi già fatti da Stefano e dalla Rosanna sui Santi riminesi, riminesi di nascita o riminesi di adozione. Il presupposto della mostra serve per spiegare il metro che da allora abbiamo sempre usato per ogni nostro lavoro: proporre in una maniera molto semplice un argomento che ci ha particolarmente interessato. Proporlo a chi? A chi semplicemente ha la curiosità o il piacere di conoscere, senza necessariamente essere un esperto. Non studiamo per gli storici, perché probabilmente ne sanno molto più di noi, quindi non ha senso: scriviamo per persone, anche ritenendosi ignoranti su un argomento, hanno comunque il piacere di conoscere, di approfondire e di sapere cose nuove, nello specifico cose che riguardano il passato storico, storico-artistico, storico-religioso nella nostra città. Questa prima mostra la chiamammo “Immersi nell’amore di Dio. I Santi della diocesi riminese”. All’interno di questa mostra, che allestimmo appunto nei locali della Parrocchia di Cristo Re di cui facciamo parte, esponemmo anche alcune reliquie della Beata Elisabetta Renzi, della Serva di Dio Angela Molari e della Beata Bruna Pellesi. Queste nostre ricerche in questo campo ci hanno portato anche, in qualche caso, a esiti insperati, che ci hanno molto, molto gratificato, come nel caso del Beato Giovanni Guerni, un beato medioevale riminese, il cui corpo mummificato è oggi conservato presso la chiesa Collegiata di Verucchio – fino all’ultima guerra era nel Tempio Malatestiano, al Duomo, poi fu sfollato, lui come altri che erano conservati in questa chiesa, per gli eventi bellici: è arrivato a Verucchio e di lì non si è più mosso. L’allora parroco di questa chiesa il compianto Antonio Fraticello, aveva in mente di far sistemare questa mummia, che si era, nel tempo, abbastanza deteriorata, e anche tramite noi, tramite il nostro interessamento è riuscito a mettersi in contatto con il professor Nazareno Gabrielli, che è il maggior esperto italiano, se non mondiale, in questo tipo di attività – ricordo soltanto che è la stessa persona che si è occupata del restauro della salma di San Pio da Pietrelcina –, e appunto si è potuto fare questa conservazione, questo ripristino, e la cosa è stata davvero molto interessante. L’anno successivo – siamo nel 2008 – abbiamo invece esplorato il grande passato della nostra città con la mostra “Le chiese perdute di Rimini”, dando uno sguardo a quel gran numero di edifici religiosi – chiese, conventi, oratori, cappelle – che arricchivano la nostra città che per vari motivi – terremoti, guerre, soppressioni napoleoniche, soppressioni unitarie – a oggi non esistono più. Durante la mostra ci siamo cimentati con dei modellini stile “Italia in miniatura”, di cui vedete un esempio: abbiamo ricostruito l’antica chiesa di San Gregorio. Questa mostra è diventata poi anche un piccolo volume che ha segnato l’inizio della nostra collaborazione con l’editore Guaraldi, che abbiamo ricordato poco fa. Andando ancora avanti arriviamo nel 2009 alla mostra “Le Madonne miracolose di Rimini”. Durante la lavorazione di questa mostra e di questo libro, cercando siamo riusciti a rintracciare anche l’immagine della Madonna della Polverara, che è quella che vedete, che è una Madonna molto venerata nella chiesa a Lei dedicata lungo la via Covignano, chiesa che oggi non esiste più; il quadro è di proprietà privata e non è più visibile. Abbiamo portato, inoltre, alla riscoperta di una Madonna non riminese, ma riminese per proprietà, in quanto si trova a San Giovanni in Marignano ma in un oratorio di proprietà di una famiglia di antico lignaggio riminese: la Madonna del Monte, un affresco, appunto, conservato a Castelvecchio, vicino a San Giovanni in Marignano, nel cosiddetto oratorio, oratorio che, anche grazie al nostro ricordo, si sta finalmente restaurando. Nel 2010 siamo tornati a parlare di Santi, rivolgendo il nostro interesse alle avventure riminesi di un Santo famosissimo: Sant’Antonio di Padova, tanto importante per Rimini che il Clementini, storico riminese vissuto a cavallo fra il Cinquecento e il Seicento, disse che lo si sarebbe potuto chiamare tranquillamente Sant’Antonio da Rimini. Durante l’annuale festa che si svolge al ponte della Resistenza, appunto, per Sant’Antonio, a giugno, l’associazione “Il ponte dei miracoli” ci invitò a guidare una biciclettata alla ricerca dei luoghi che videro protagonista il Santo a Rimini. Nel 2011 non più solo una ricerca, ma un omaggio a un personaggio molto venerato in passato, ma oggi quasi completamente dimenticato: la Beata Chiara da Rimini. Per tre giorni i suoi resti mortali, che per complicate vicende storiche oggi sono conservati a Corpolò, sono tornati a Rimini, non purtroppo nella chiesa da lei fondata, Santa Maria degli Angeli, che è una delle tante chiese di Rimini che non esiste più, e sono state offerte alla devozione dei fedeli nella chiesa di Cristo Re, una sistemazione che doveva essere provvisoria ma che poi è diventata stabile anche quando la Beata è tornata nella sua chiesa di Corpolò. Adesso, dopo la Beata Chiara, è venuto il momento di parlare invece di quello per cui oggi siete venuti qui, i crocifissi lignei; per cui passo la parola a Stefano De Carolis.

STEFANO DE CAROLIS:
Ovviamente non avrebbe senso illustrarvi tutto quello che c’è scritto sul libro, togliendo quindi il piacere alla lettura ai nostri soliti tradizionali venticinque lettori, come diceva il Manzoni, affezionati però. Ho pensato di presentare i tredici crocifissi che sono fotografati magistralmente da Gilberto Urbinati nel libro con una sorta di chiave di lettura trasversale, se non altro per sottolineare quegli aspetti che magari il libro forse non sottolinea così efficacemente. Comincio, anche se poi vi dirò che seguirò l’ordine cronologico, da quello che è un po’ il primo momens di questa piccola opera editoriale. Il Crocifisso conservato nella Chiesa della Colonnella, un crocifisso ligneo cinquecentesco di scuola marchigiana che è stato un pochino quello che ha dato l’idea a Mario Guaraldi, di spingerci – noi che come ha detto chiaramente Rosanna non siamo professionisti – in questa nuova avventura divulgativa. Nel 2009 questo crocifisso è stato restaurato da Rossana Allegri e al restauro ha partecipato e contribuito anche Mario che è proprio della parrocchia della Colonnella. Per cui proprio durante il ripristino di questo crocifisso nella sua chiesa Mario ha pensato e francamente è stato pervicace ed è riuscito in questo suo intento di concludere questa sorta di piccola collana con un volume dedicato ai crocifissi lignei conservati a Rimini. Il primo crocifisso che abbiamo scelto, semplicemente con motivazioni di carattere personale oltre che storico e artistico, e che è quello più antico, e questo crocifisso è conservato attualmente nella chiesa riminese di San Giovanni Battista. E’ un crocifisso estremamente arcaico, è stato datato dagli studiosi al tardo Duecento ed era una di quelle opere che erano originariamente collocate nel famigerato santuario di San Gaudenzo, quello che era attualmente dove si trova la piscina comunale. Un santuario le cui vicissitudini sono veramente molto avventurose. Tartassato e soppresso durante il periodo napoleonico, nel 1797 ha vissuto ancora una ventina di anni fino alla sua totale distruzione avvenuta nel 1812 per opera di una sedicente marchese riminese che aveva acquistato in blocco l’immobile per appunto atterrarlo e costruirgli un casino di delizie. Vi risparmio tutte le avventure più o meno fantastiche che sono sorte su questa demolizione, evidentemente non molto ben vista dai santi titolari, mi piace ricordare di tutti questi salvataggi miracolosi quello effettuato, forse in una notte buia e tempestosa del 1812, allorché il parroco della chiesa di San Giovanni Battista proprio prima della demolizione, che sarebbe avvenuta il giorno dopo, raccolse in tutta fretta le reliquie dei santi che ancora si conservano in quella che era la cripta di San Gaudenzo, raccogliendole e stipandole alla rinfusa in una cassetta lignea che, mi piace dire, proprio in questi giorni è stata recuperata e che verrà esposta domani mattina in occasione di un evento che poi la Rosanna vi ricorderà a fine conversazione. Segue immediatamente, cronologicamente, questo crocifisso che forse molti di noi avranno visto nella chiesa di Sant’Agostino, si trova nel primo altare sulla destra dell’attuale chiesa appunto dedicata a san Giovanni Evangelista e detto anche di Sant’Agostino, è un crocifisso molto antico ed è stato ripristinato nella sua originale postura. Infatti originariamente questo non era un Cristo crocifisso ma era un Cristo deposto, faceva parte di un gruppo ligneo in cui veniva illustrata l’azione della deposizione della croce. Il Cristo a braccia allargate veniva deposto dalla croce e accolto ovviamente dagli astanti prima di essere seppellito, di essere deposto nel sepolcro. Questo gruppo ligneo antico, ricordato anche dalle fonti, era databile a circa il 1235-1240, era collocato in origine sull’altare della cappella absidale di sinistra della Cattedrale di Santa Colomba. Cattedrale che era più o meno dove adesso si trova la Rocca Malatestiana e di cui rimane ancora quello che probabilmente doveva essere il campanile. Anche questa cattedrale fu demolita all’inizio dell’ ‘800 dopo i gravi danni che subì nel terremoto del 1786. ovviamente il crocifisso fu il smembrato nell’ ‘800 in ottemperanza alle nuove norme conciliari e alle visite pastorali che si succedevano fu trasformato in crocifisso e venerato come tale appunto con il titolo di Crocifisso della Buona Morte. Nel 1798 è stato trasferito nella chiesa di Sant’Agostino perché proprio in quell’anno avvenne il trasferimento del titolo di Cattedrale dalla cattedrale di Santa Colomba, che sarebbe stata demolita di lì a qualche anno, alla Chiesa di Sant’Agostino. Quest’altro crocifisso, questo veramente di pregio, anche se la Rosanna ha detto che la maggior parte non sono di pregio, questo è veramente di grande valore e quello che io chiamo il Crocifisso dell’Ospedale. E’ attualmente depositato al Museo della città ma è tuttora di proprietà del mio datore di lavoro, l’azienda USL, perché appartiene al patrimonio storico e artistico dell’azienda USL di Rimini. E’ un crocifisso appunto di grande valore ma è legato alla storia sanitaria di Rimini, perché effettivamente ha praticamente sempre dimorato, almeno – diciamo così – dal Quattrocento, in quella che era la chiesa dell’antico ospedale di Santa Maria della Misericordia, il più antico degli ospedali riuniti di Rimini, che si trovava più o meno dove adesso esiste la sede della provincia. Da quella chiesa poi ribattezzata di Santa Maria Ad Nives, è stato poi diciamo asportato nel 1968 sottoposto ad un importante restauro da parte di Ottorino Nonfarmale ed esposto del Museo della città nel quale fa bella mostra nella sala dove credo adesso sia proprio allestita la mostra su Giovanni Bellini. Questi crocefissi vengono detti tedeschi proprio perché sono stati collegati a delle maestranze, a dei maestri veri e propri, a degli scultori, di origine transalpina, teutonici, i cosiddetti tedeschi. Anche questo è molto interessante e devo dire tra l’altro che, nel catalogo che abbiamo messo l’ultimissima ipotesi avanzata da Matteo mazza lupi nel 2008 di attribuzione non tanto al mitico Johannes Teutonicus, a cui si attribuivano questi crocifissi, ma a un certo paolo Alamanno, un altro scultore di scuola tedesca, molto attivo nell’Italia centrale in quegli anni. Ma aldilà di tutte le questioni stilistiche che non ci competono mi pace ricordare come il crocifisso dell’Ospedale sia estremamente affine, probabilmente anche proprio per mano, a un altro bellissimo crocifisso che è stato restaurato da poco – lo vedete sulla destra – quello conservato nella chiesa di San Bartolomeo a Rimini e che tra l’altro presenta forse la stessa mano e probabilmente la stessa funzione. Questi sono crocefissi di grande impatto e costruiti molto probabilmente per essere utilizzati nelle sacre rappresentazioni. Infatti entrambi hanno un meccanismo per cui la lingua mobile, sporge dalle labbra, tute le volte che il crocifisso viene diciamo scosso, portato in processione. E lo stesso nel costato la ferita è aperta da un vero e proprio taglio che ha una comunicazione sulla spalla destra del crocifisso e che serviva proprio per versare del sangue, del liquido scusate color rosso sangue per mimare, simboleggiare appunto la fuoriuscita di sangue al momento della morte del salvatore sulla croce. Crocifissi che quindi avevano un significato artistico ma anche avevano un significato di estrema compartecipazione, di estrema compassione da parte dei fedeli che sembrava quasi li avessero vivi davanti ai loro occhi e che partecipavano alla loro passione. Un altro mistero quattrocentesco è questo crocifisso, l’unico di quelli che vi abbiamo presentato nel libro che è ancora diciamo bisognoso di restauro. Un crocifisso datato come gli altri nel quattrocento, di mano probabilmente diversa e quindi non teutonica e di cui non è stata avanzata per ora alcuna attribuzione. Probabilmente il restauro ci spiegherà molte cose. La cosa interessante è che questo è un crocifisso legato a una confraternita, detta appunto di Santa Croce che lo trasporta alternativamente nelle chiese ad essa dedicata, si parla quindi della Chiesa di Santa Croce vecchia che era nelle vicinanze del tempio Malatestiano, ora non più esistente. Trasportato poi nella chiesa di Santa Croce nuova che è quella attuale, denominata San Simone che si trova all’ incirca di fianco all’attuale Coin. Lì ancora il crocifisso si trova ed è uno di quelli legati a un fatto miracoloso, e anche questa è una cosa che a Rimini forse pochi conoscono. Nel 1796 a Rimini, siamo in piena bagarre napoleonica, succedono molti fatti miracolosi che vengono ovviamente visti chiaramente come un segno divino dello scarso successo che avevano le forze napoleoniche che stavano occupando la città. Ebbene questo crocifisso analogamente alla Mater Salvatoris, ora conservata nell’Oratorio di san Giovannino, dove una volta c’era l’Oratorio di san Girolamo, e un’altra Madonna conservata in Casa Parri, la Beata Vergine dell’Aspettazione, fece un fatto miracoloso,fu protagonista di un fatto miracoloso. Anche questo crocifisso come le Madonne, alzò gli occhi al cielo contemporaneamente aprendo e chiudendo la bocca. Un altro crocifisso che risente dell’impostazione diciamo dei più famosi ed illustri crocifissi quattrocenteschi è questo. Cinquecentesco, conservato attualmente nel Tempio Malatestiano. L’apparato che vedete alle sue spalle quindi non solo la croce, ma tutto questo ricchissimo apparato è ovviamente del secolo successivo, è del Seicento, e fu aggiunto in quell’epoca. E’ un crocifisso anche questo molto interessante perché la tradizione religiosa della nostra città lo associa alla Beata Chiara di cui ha parlato prima Learco. La conversione, la vera e propria grande conversione della Beata Chiara avviene in quello che era l’antesignano come chiesa del Tempio Malatestiano quindi la Chiesa di santa Maria In trivio. All’intero di questa chiesa esisteva un crocifisso che si disse appunto fu all’origine della venerazione, della conversione, della Beata Chiara. Un giorno, in cui la beata Chiara, che si era data per tanti anni a una vita dissoluta, seguendo in questo la più famosa famiglia dei Malatesta con la quale pure pare che fosse imparentata. Si sentì chiamare da una voce passando al di fuori dalla Chiesa ed entrata il crocifisso le rivolse queste testuali parole “sforzati Chiara di dire almeno uno Pater Noster” e questa è secondo le fonti, secondi i garanti, proprio l’origine della conversione della beata Chiara. In realtà questo non è il Crocifisso della Beata Chiara, perché ovviamente non può essere quello visto che ci sono diversi secolo che la separano. Probabilmente non è neanche il crocifisso di Giotto. Credo che quel crocifisso sia andato perduto e non si possa assolutamente ritrovare. Passando al secolo successivo, vi ho già anticipato il crocifisso della colonnella e vi presento anche questo abbastanza diciamo sorprendentemente. E’ un altro crocifisso poco noto, questo è conservato nel santuario della madonna delle grazie, attualmente all’altar maggiore della navata di destra ed è stato accostato alla stessa bottega marchigiana che appunto ha costruito quello della Colonnella. Un Cristo crocifisso che vedete comincia a mostrare, come diceva Rosanna, in maniera molto tangibile tutte le sue piaghe, sangue, sudore, lacrime e che fu costruito appunto anche qui in ottemperanza a una norma diciamo così postconciliare, post tridentina che voleva comunque esserci un crocifisso vicino a ogni altare dove si celebrava la messa. In particolare questo crocifisso fu diciamo destinato a una cappella proprio costruita nel 1578 per lascito di una ricca vedova taramellese denominata ancora oggi la cappella del crocifisso nella navata di sinistra di Santa Maria delle Grazie. Adesso cominciamo con i crocifissi un pochino un po’ più sconosciuti insomma. La Rosanna è andata a scoprire questo crocifisso cinquecentesco che forse pochi di voi avranno notato, si trova nella chiesa di Bella Riva nel santuario del Cuore Immacolato di Maria, dove ci sono i francescani osservanti ed è quello collocato in una cappella laterale abbastanza in maniera anonima. Anche questo è un crocifisso importante, non tanto per il suo valore artistico, è comunque di legno, ma per la sua storia devozionale che vi sta dietro e anche per le avventure che ha subito questo crocifisso. Questo crocifisso infatti non nasce a Rimini è di provenienza forestiera. Era stato donato nel 1919 alla Basilica di San Francesco a Ferrara, una basilica tra l’altro nota per essere vicina alla sede di un altro grande miracolo di Sant’Antonio, quello del neonato che parla scagionando la madre, pensata adultera dal gelosissimo marito. Si sa appunto che questo crocifisso acquistato, regalato veramente, dai francescani di Ferrara passò a Rimini, quando, dopo tantissimi anni di vacanza dei francescani osservanti a Rimini, essi si installarono nuovamente nel Santuario del Cuore Immacolato di Maria a Bellariva portando con loro da Ferrara questa importante testimonianza di fede. Si dice comunque che i ferraresi durante la guerra venerassero molto questo sacrificio pregando di fronte a lui per scampare appunto da questa calamità. Non di solo legno comunque ci siamo occupati ma anche di qualche altro materiale. Sicuramente abbiamo un pochino eluso quella che è la filosofia del libro, questo non è sicuramente un crocifisso ligneo ma ci piaceva presentarlo, non tanto perché il supporto è di legno, anche se la croce e il basamento sono del tardo Ottocento ma per la bellezza e forse la scarsa conoscenza che i Riminesi e anche i turisti ne hanno insomma. Questo è un crocifisso in oro sbalzato, seicentesco, che è stato regalato alla municipalità nel 1612 da un illustre cittadino riminese, il cardinale Michelangelo Tonti che era faccendiere di Papa Paolo V Borghese, il papa per intenderci a cui è dedicata la statua in piazza Cavour. Ebbene anche i faccendieri cadono in disgrazia, il Cardinal Tonti a un certo punto si trova un pochino a disagio nella corte romana che non lo accetta più. Quindi viene definitivamente assegnato alla sua sede episcopale di cesena e quindi prima di insediarsi a cesena passa per Rimini e regala alla municipalità, oltre a un gran numero di corpi di santi che, dice il Tonini, i vari parroci della città si litigarono per circa un mese, anche questo bellissimo crocifisso d’oro. E’ un crocifisso evidentemente da devozione privata, è un crocifisso da tavolo fatto da un materiale preziosissimo. Solo ultimamente uno studioso, Andrea di Lorenzo, lo ha avvicinato ad altri esempi che si trovano in musei italiani e internazionali, attribuendolo non già a Benvenuto Cellini, questa è una vecchia attribuzione che già Piergiorgio Pasini aveva messo in discussione ma attribuendolo a un orafo, Gasparo Mola, che lo avrebbe fatto appunto a Firenze tra la fine del Cinqeucento e l’inizio del seicento sui modelli di un altro famoso scultore fiorentino, il Giambologna. Vedete che la crudezze di questi crocifissi si accentua sempre di più, anche questo è un crocifisso molto importante. E’ stato esposto nel 2004 nella mostra riminese “Seicento Inquieto”, è stato restaurato dalla cassa di risparmio per quell’occasione ed è conservato attualmente nel Convento di San Bernardino, dove adesso ci sono le Sorelle Clarisse. E’ un crocifisso firmato, sicuramente riconducibile a Fra Innocenzo da Petralia che lo costruì attorno al 1626, un frate cappuccino specializzato appunto nella costruzione di crocifissi. Tra l’altro si racconta anche, lui ovviamente pur essendo nativo di Petralia Sottana in provincia di Palermo, girò molto l’Italia distribuendo questi crocifissi la dove venivano commissionati ed è singolare là come le fonti ricordino come lui si preparasse religiosamente, facendo preghiere e metilazioni prima di metere6 mano alla costruzione del crocifisso che avveniva all’incirca in dieci giornate. Mi avvio alla conclusione. Anche questo crocifisso forse i più non lo conoscono. E’ un crocifisso ligneo conservato nella cosiddetta chiesa attuale del Crocifisso, la parrocchia di sant’Andrea dell’Ausa e anche questo ha una storia molto strana. Appartiene a quelli che io chiamo scherzosamente i “Crocifissi Scampati”, quelli che si sono salvati dalla temperie napoleonica. Questo fu trovato in maniera fortunosa, se non miracolosa, nel 1827 da due fratelli, due ricchi fratelli riminesi, i fratelli Michele e Gertrude Barbieri in una intercapedine della loro casa. Il crollo di muro rivelò appunto questo crocifisso nascosto in questo intercapedine, evidentemente per diciamo nasconderlo alle ruberie e alle profanazioni dei napoleonici e murato appunto dietro questa parete e ancora provvisto del suo diadema dorato e di sei voti di rame argentati che evidentemente erano stati così conservati, nascosti col crocifisso a testimonianza di una fede, di una devozione che risultava molto più antica. E l’ultimo crocifisso che è stato riprodotto nel libro è una piccola chicca, è un crocifisso di solito non visibile, ma anche questo legato a un fatto singolare. E’ il cosiddetto crocifisso da viaggio di San Gaspare del Bufalo. Sicuramente non molto comodo per essere da viaggio perché altro più di un metro ma un crocifisso che San Gaspare del Bufalo fece costruire insieme ad altri, fece costruire nella sua vita con le braccia staccabili a livello delle ascelle quindi ripiegabili e che trasportava quando andava a fare le sue pellegrinazioni in giro per l’Italia e in particolare sono ricordate quelle nelle campagne romane dove senza nessun timore ma brandendo soltanto l’immagine del crocifisso, predicava a carrettieri, contadini e briganti. Non vi dico altro perché a questo punto non vi resta altro che leggere il libro.

MODERATORE:
Grazie. Prima di chiudere, prima anche di eventuali domande è una comunicazione che spero vi interesserà. Nella cornice di questo meeting si svolgerà un’iniziativa che il meeting stesso ha organizzato insieme alla commissione ecumenica della diocesi di rimini. I membri della Commissione sono presenti sparsi in sala. E’ la proposta di un pellegrinaggio a cui ha aderito la comunità ortodossa della città, che prevede la sosta in tre luoghi importanti per la storia cristiana riminese. La chiesa di San Giovanni battista, la Cattedrale e la chiesa di san Niccolò che da secoli custodiscono le reliquie dei santi Gaudenzio, Innocenza, Colomba e Nicola. Fra gli altri sono stati invitati ed hanno confermato la loro presenza i componenti del Coro Sacerdortale Metropolitano di san Pietroburgo che saranno i protagonisti dello spettacolo nel canto “L’anima di un popolo” in programma domani sera alle 21.45. il pellegrinaggio si svolgerà nella mattinata dello stesso giorno, cioè domani mattina, con partenza alle 9,30 dalla chiesa di San Giovanni, cioè la Chiesa dove vedremo, come Stefano ha detto, la cassetta dentro cui sono state riposte le reliquie portate in salvo dal santuario di san Gaudenzo. I partecipanti potranno conoscere la storia dei santi e martiri riminese attraverso una guida piccola, mini, scritta in italiano e in russo. Noi abbiamo portato alcune copie della guida in italiano. Quindi anche per voi se volete potete prenderne una e se poi non potete venire domani mattina comunque potete tenere a mente questo tracciato che comunque è sempre possibile realizzare. Quindi nell’invitarvi a nome di tutta la Commissione Ecumenica Diocesana a questo gesto mi avvio alla conclusione con alcuni importanti ringraziamenti alla Curia Vescovile di Rimini, alla Biblioteca Gambalunga, al Museo della città di Rimini e a quello archeologico di sant’Arcangelo. Grazie alla Dott.ssa Maria Cecilia Antoni, alla prof.ssa Michela Cesarini, alla’amico Marcello Cartoceti, alle Sorelle Clarisse del Monastero della Natività di Maria a Rimini, alla dott.ssa Catia Del Baldo, al Prof. Piergiorgio Pasini. Ora se qualcuno vuole, desidera, fare qualche domanda noi siamo qua. Contiamo fino a dieci e poi chiudiamo. Molto tranquillamente, se no ci diamo appuntamento a domani mattina per chi può e per chi non può potete prendere l’opuscoletto che abbiamo preparato. Allora direi che ci salutiamo e grazie a tutti per l’attenzione.

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